LETTURA DEL FILM LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino



Gran parte delle angosce e tormenti umani si placano dinanzi alla bellezza”.
(Gabriele Palombo)

La Grande Bruttezza

Il film di Sorrentino è un’analisi particolare dell’uomo e della società odierni. Anche se il film è stato girato a Roma, quanto sostiene il regista sull’uno e sull’altra non riguarda solo l’Italia, come in molti hanno supposto, ma il mondo Occidentale in particolare e il mondo nel suo complesso in generale. Il film di Sorrentino non è piaciuto più di tanto agli italiani ma piace agli stranieri, proprio perché loro suppongono che quanto espone il regista nel film riguardi solo noi. Il film secondo me è uno psicodramma collettivo.

È innegabile che nel panorama mondiale l’Italia abbia tanti meriti. Innanzitutto è il paese che ha inondato d’arte e bellezza l’umanità. È il paese che secondo me ha fatto una delle rivoluzioni più efficaci e incruente della storia umana: il Rinascimento. È il paese che ha dato al mondo un rilevante contributo umanistico. L’Italia in questo periodo storico sta vivendo un ingiustificato e pericoloso complesso d’inferiorità rispetto ad altri paesi, primo perché, a causa di comportamenti scellerati protrattisi per diverso tempo, ha perso la fiducia in se stessa. E poi soprattutto perché è caduta nella trappola di coloro che affermano che sono il PIL e il business selvaggio e spesso truffaldino, la ricchezza fine a se stessa e il benessere materiale i riferimenti principali su cui basare e vivere la propria vita, svilendo così la nostra cultura millenaria. Platone giustamente affermava che “Non dalle ricchezze nasce la virtù, ma dalle virtù nascono le ricchezze e tutte le altre cose”.

La decadenza, la corruzione e le volgarità dell’uomo e della società odierna raccontate da Sorrentino nel suo film sono evidenti a tutti (il mondo a rovescio come alcune immagini del film) e cioè: La confusione pressoché inestricabile tra bellezza e bruttezza e tra sacro e profano che secondo me sono il filo conduttore del film.  L’ambiguità e vacuità dell’arte odierna. La cultura odierna nana e deforme (Dadina). La malavita supertecnologica e in doppiopetto che dall’alto (dall’attico) domina la vita sociale. La miseria e follia di certa nobiltà. Le contraddizioni e la parodia della religione (la santa e il cardinale). Le raccomandazioni e la corruzione dappertutto per affermarsi anziché i meriti (Romano). La morte per inedia di Ramona (Ramona, Roma, Romano (facile anagramma).

Ecco, cosa aggiunge col suo film Sorrentino a quanto noi non sappiamo? E, soprattutto, cosa ci propone per uscire dalla Babele e dall’inferno in cui ci siamo cacciati senza precipitarvi del tutto? (I personaggi del film di Sorrentino somigliano a quelli descritti da Dante nel girone degli ignavi, gente che vivacchia e che subisce la vita, imbruttendola e sciupandola).

Prodigi in questo film non ce ne sono. Lo conferma il prestigiatore e lo ripete Jep alla fine del film: “È solo un trucco”. (Gli episodi della giraffa e dei fenicotteri). Non è solo Jep che ha perso momentaneamente la vena artistica, ma il mondo contemporaneo. Infatti, l’arte da qualche tempo è agonizzante, e con l’arte è moribonda la bellezza, poiché la bellezza primariamente è figlia dell’arte. In sostanza, il film di Sorrentino descrive la miseria e l’inconsistenza dell’uomo e della società odierni, della cultura, dell’arte e della religione. Insomma, è la Babele e il Requiem del mondo contemporaneo, specie occidentale. Ma, a mio parere, non è solo questo. E comunque la fine di un mondo non è la fine del mondo, anzi! Se si comprende e senza seguire la massa, può essere una sua rigenerazione.

Anche se oggigiorno l’arte e la bellezza sono ricoperte da cumuli di bruttezza accumulatesi da diverso tempo e ben rappresentata nel film di Sorrentino, e non solo negli ultimi tempi come supponiamo, quello che stiamo vivendo è solo uno dei tanti passaggi storici regressivi che l’umanità sta attraversando e che, fortunatamente, sta scomparendo (il disfacimento di Lorena e la morte di Ramona e, innanzitutto, il relitto della Concordia). Ma quando un mondo collassa, la sua fine non sarà né breve né indolore.

Il regista descrive gli scempi umani sociali e culturali, etici e spirituali e le brutture che discendono da simili comportamenti. Tuttavia il film ci indica anche quanta bellezza Roma, l’Italia in generale, ha creato e accumulato nel corso dei secoli, bellezza che aspetta d'essere valorizzata in tutto il suo splendore.

Il film di Sorrentino è spiazzante primo perché si fa fatica a riconoscersi nei personaggi da lui proposti, apparentemente solo negativi e alla deriva. E poi, fatto più importante cui siamo poco abituati, il film ci mette dinanzi agli opposti cui è costellata la vita umana. Questo film, a modo suo, sembra dirci di non avere paura di guardare in faccia le nostre parti oscure (la notte), la nostra bruttezza, di assumercela e di farne la sintesi con la bellezza, così poi potrà apparire la Grande Bellezza che è sintesi dell’una e dell’altra, bellezza rappresentata dalla Città Eterna.

Il film per molti versi è caotico e sconclusionato. Tutto è mischiato in una baraonda quasi inestricabile. Come è caotica pure la musica del film. Che poi non è altro che la rappresentazione del mondo odierno. Una confusione spaventosa. Siamo spiazzati e confusi dal film di Sorrentino perché non siamo abituati a pensare che bellezza e bruttezza coesistano dentro e fuori ognuno di noi e che è necessario prenderne coscienza e armonizzarle tra loro.

La spiritualità di vecchio stampo è ambigua e impotente. La santa parla poco e il cardinale è esperto in culinaria. Entrambi non hanno risposte da dare agli interrogativi esistenziali di Jep, cioè all’uomo d’oggi, se non riproporre rituali obsoleti, quali l’elogio della povertà e la santificazione del masochismo, esoterismi incomprensibili, la scala santa e quant’altro. 

Jep sta quasi sempre in mezzo alla gente, ma sostanzialmente è un uomo solo, così come lo è quello odierno. Il rapporto più intimo Jep l’ha stabilito con la sua governante. Il fascino che esercita Jep sui compagni, e su ciascuno di noi, è il fascino vacuo ed effimero della società odierna, dove l’apparire ha oscurato l’essere. Ma Jep non è solo questo.

L’uomo odierno, come i personaggi del film, è sostanzialmente solo e in balia delle sue ansie e paure e rinserrato in se stesso, nel suo narcisismo (balli solitari e prolungati allo specchio, gli ingorghi dal chirurgo plastico, gli autoscatti col cellulare di Orietta). L’uomo d’oggi si è smarrito dietro cose effimere futili e inutili, dietro maschere, corazze e meccanismi di difesa.

Il paradosso dell’uomo d’oggi è che mai come in questo momento storico ha avuto tanta opulenza e la possibilità di comunicare all’istante e dappertutto. E tuttavia mai l’uomo è stato così solo, isolato e angosciato come nel nostro tempo, a causa della disgregazione della coppia, della famiglia e della società nel suo complesso. A causa della profonda ed estesa crisi d’identità, che lo induce a mostrarsi nei suoi aspetti più ambigui e finanche animaleschi. A causa dell’assenza di valori e regole di vita in generale. La solitudine è figlia dell’incapacità d’amarsi e amare in modo maturo. Il narcisismo prima è un meccanismo di difesa per proteggersi da intrusioni violente. Poi può diventare un arroccamento intenzionale su se stessi per non voler affrontare il dolore che è necessario attraversare per liberarsene.

Crisi d’identità, crisi di valori e ideali su cui basare e vivere la vita e assenza di un progetto esistenziale cui finalizzarla si sono rivelati disastrosi per l’umanità. Mai come in questo momento storico l’uomo e l’umanità nel suo complesso si sono smarriti, girovagando verso il nulla. “Siamo tutti devastati”, afferma consapevole ma non rassegnato Jep ai suoi amici. Il ritmo del film è incalzante e vertiginoso, immagini e situazioni che si susseguono incessantemente, così com’è frenetica la vita dell’uomo contemporaneo. Ma è una frenesia che, come i trenini del film, non porta da nessuna parte.  Oggi l’umanità è regredita profondamente e paurosamente ma ha tutto ciò che le occorre per rigenerarsi e risollevarsi.

La Grande Bellezza

Detto ciò, c’è il positivo e dove si può cogliere la speranza in tanto sfacelo e deserto? In quali passaggi e personaggi del film si può coglierli, se mai ci sono? Il film di Sorrentino è un film surrealista, e apparentemente nichilista. Il film è a prima vista nichilista perché per quasi tutta la sua durata si sofferma sulla bruttezza visibile che i personaggi del film dimostrano col loro comportamento vacuo e lascivo. Ma è un inganno perché, parallelamente ad essa, si ha una sensazione di una bellezza invisibile, La Grande Bellezza, che accompagna per tutto il tempo i protagonisti del film, che è rappresentata da Roma, che ovviamente non è solo quella visibile ai sensi. È l’impalpabile bellezza spirituale della Città Eterna. È una bellezza così abbagliante da tramortire chi non è pronto per ammirarla (scena del turista al Gianicolo). La bellezza di Roma è la bellezza che gli uomini sono stati capaci di creare, dentro di loro e fuori di loro, quando hanno fatto ricorso al loro ingegno e alla loro parte artistica-creativa, prerogativa d'ogni essere umano, d'ognuno di noi.

È surrealista perché il regista sembra dire: “Io vi ho mostrato tutta la bellezza (Roma, e qualche altro sprazzo di bellezza in alcuni passaggi e personaggi del film) e tutta la bruttezza che l’uomo è stato ed è capace di creare; io non vi do soluzioni perché sta a ciascuno di voi scegliere cosa vuole fare nella e della sua vita”. Tanto è vero che il finale del film è aperto a più possibilità. Noi non sappiamo con certezza quale strada intraprenderà Jep dopo la conclusione del film. Il regista non lo dice apertamente, ma ci sono diversi indizi e allusioni che fanno pensare ad un suo reale cambiamento. Jep ha scritto un libro a venticinque anni: L’apparato umano. Il titolo accenna ad una sua ricerca di comprensione dell’uomo, cioè di se stesso. Adesso può completarla e dare un senso diverso alla sua vita. Il prossimo romanzo di Jep è pronto per essere pubblicato, ma noi non sappiamo cosa contiene, possiamo solo immaginarlo.

Jep (Jep è ognuno di noi, così come lo sono i vari personaggi che gli ruotano attorno) lo può fare perché non ha mai perso il contatto con la realtà. È troppo intelligente e lucido e ha sprazzi d'umanità che lo rendono un personaggio simpatico e attraente. La sua figura, il suo sguardo ambiguo e penetrante e il suo modo di comportarsi fanno trasparire un fascino e una simpatia che sembra in contrasto col suo modo apparente d'essere cinico e disincantato. Il personaggio di Jep non è negativo per il seguente motivo: perché in Jep, dietro la maschera, s’intuisce quanta bellezza sprigiona ed è capace di creare dalla propria vita se lo decide e opera in tal senso, cosa che a mio avviso accadrà.  Perciò la Grande Bellezza non è solo quella scontata di Roma. La bellezza crepuscolare di Roma è da mozzafiato.

Roma è la Bella Addormentata, la Bellezza Addormentata, che è fuori di noi e soprattutto dentro di noi che aspetta d'essere risvegliata e creata. La bellezza è nascosta e bisogna trovare le chiavi giuste per accedervi, quelle che possiede Stefano. E, in ogni caso, anche se Jep decidesse di continuare a sciupare la propria vita in comportamenti frivoli ed effimeri, cosa per me improbabile, come ho ipotizzato prima, noi possiamo sempre decidere di creare bellezza anziché bruttezza dalla nostra vita. “Cercavo la Grande Bellezza ma non l’ho trovata”, dice Jep. E non poteva trovarla perché la bellezza (al pari dell’amore) non si trova, si crea. La bellezza è uno stato dell’essere che si crea nel tempo, ed essa è più visibile a occhi chiusi (il mare che intravedono Jep e Ramona sul letto). Il nostro futuro dipende da ciascuno di noi: possiamo decidere come e quando scriverlo e crearlo.

Ci sono diversi tipi di bellezza, ma quella distillata dalla propria vita è la più preziosa. Lo è fino al punto di poter divenire immortale. Ogni libertà conquistata è un quantum di bellezza che si è acquisito. Ogni verità acquisita è un altro quantum di bellezza conquistata. Ogni dolore accettato per trasformarsi è un quantum di bellezza che si è creata. In ogni bruttezza visibile si nasconde una bellezza invisibile, e in ogni bruttezza attuale si cela una bellezza futura: quella che Jep, e ognuno di noi, se lo decidiamo e operiamo in tal senso, potrà creare. Non si vive di solo pane, ma di pane e di bellezza”. (Antonio Mercurio)

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