RIFLESSIONI SULLA GUERRA

Ares-Marte, il dio della guerra

Guerra e pace si decidono nella mente e nel cuore d’ogni essere umano”.

(Gabriele Palombo)

L’aspirazione di un’umanità senza divisioni e guerre, pacificata e unificata all’apparenza è il sogno della stragrande maggioranza degli esseri umani, un infantile e perciò impossibile desiderio per diversi motivi. Primo perché per tutto il tempo che sulla Terra ci saranno gli uomini, ci sarà il bene e ci sarà il male, ci sarà l’odio e ci sarà l’amore, ci sarà il bello e ci sarà il brutto, ci sarà il positivo e ci sarà il negativo e altri opposti cui è costellata l’esistenza umana fin dalle sue origini della vita nel seno materno. E questo già potrebbe bastare perché l’illusione di un mondo pacificato, unificato e perfetto svanisca. È vero che l’universo nella sua complessità e immensità aspiri a divenire un unico organismo vivente unificato e armonizzato, ma non nel senso com’è inteso comunemente, ossia globalmente. Progetto realizzabile individualmente e coralmente.

Le guerre sono scatenate dalla parte più oscura, dura e violenta degli esseri umani perlopiù risalente alla vita prenatale, l’inferno in Terra. Le guerre, combattute dalla povera gente, aldilà delle menzogne e infinite razionalizzazioni e motivazioni (la prima vittima della guerra è la verità, bistrattata dai belligeranti che si rimpallano le loro atrocità), sono suscitate dalla bramosia di potere e territori da conquistare, dall’avidità di ricchezze e risorse naturali, dall’orgoglio, dall’odio e vendetta architettate generalmente da lobby e mercanti, dai ricchi e potenti di turno. Invero presunti tali perché i veri potenti, da sempre molto rari, sono coloro che governano per il proprio e altrui bene.

Mi sono chiesto più volte se le guerre possono avere qualche significato positivo. Si, per me, e non solo, c’è.  Dopo la guerra la vita si rimette in moto, c’è più voglia di vivere, c’è meno egoismo e più solidarietà e condivisione”. (Ewa Zawila) Le guerre sono dovute anche all’impantanamento e abbrutimento della vita e alla follia. Quando la vita rimane statica a lungo e/o si perverte, se l’uomo non riesce a cambiarla dentro di sé, è portato a distruggerla per crearne una migliore. In questo caso possiamo considerare le guerre, aldilà della devastazione e dolore che esse provocano, una sorta di rinnovamento collettivo. Infatti, se osserviamo la storia, i periodi più fecondi e creativi spesso sono proprio quelli successivi a guerre e calamità. Il dolore causato dalle tante perdite di vite umane e distruzioni dei conflitti rende i sopravvissuti più sensibili, umili e temprati alle difficoltà e impegni dell’esistenza, un rinnovamento collettivo diversamente difficile, perché ci sono istituzioni sclerotizzate e comportamenti umani paralizzanti talmente induriti nel tempo che difficilmente potranno essere cambiati. Tante persone aborrono la guerra per una sorta di auto rassicurazione inconscia verso la propria violenza e distruttività. Nel dire mai più guerre, è come se volessero scacciare il male dal loro interno. Il dolore, qualsiasi dolore, sia esso personale che collettivo, se accolto umanizza e fraternizza. Ovviamente queste considerazioni non vogliono essere un incitamento alla violenza e guerra.

Malgrado gli innumerevoli trattati di pace, i solenni giuramenti e i buoni propositi umani, come si spiega la ciclicità delle guerre? Che non è altro che l’eterno ritorno dell’identico di Friedrich Nietzsche 1844-1900) e gli incessanti corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico (1668-1744). Ci sarà un motivo se l’umanità gira in tondo da secoli. Il ritorno del passato e la ripetizione della storia sono facili da spiegare e difficili ma non impossibili da superare perché sono l’incessante ripetersi della staticità e perciò sterile e spesso persino distruttiva ripetizione della vita umana intrappolata nel grembo materno, il labirinto uterino dove ogni cosa s’origina. Gli umani escono fisicamente dall’utero materno, ma lungo e impegnativo è il cammino per chi si prefigge di uscire definitivamente dalla caverna platonica. Conviene provarci perché l’odio e il male intrauterini se protratti nel tempo sono corrosivi per il corpo, la mente e lo spirito, per questo gli esseri umani si sono inventate diverse strategie di difesa nel tentativo di scacciarlo dal loro interno, invano naturalmente. L’espediente a tutt’oggi più utilizzato è consistito e consiste nel seppellirlo nell’inconscio, o nel negarlo e nell’attribuirlo al prossimo, creando rapporti violenti e distruttivi dovunque. I nostri avi supponevano di liberarsi del male e colpa ad esso connessa con la preghiera, l’espiazione e fustigando il corpo. Quelli più primitivi mediante sacrifici d’animali e persino umani.La preghiera può essere un supporto, non la soluzione, perché per liberarsi della propria parte oscura primordiale, come suggerito più volte, è indispensabile trasformare fino in fondo se stessi.

Per quanto concerne il cambiamento reale, è necessario tenere a mente un principio fondamentale e cioè che esso può realizzarsi solo e unicamente partendo da se stessi, dal trasformare interamente la propria essenza ed esistenza. Pressoché tutto il resto sono cambiamenti effimeri e superficiali. Perciò coloro che si prefiggono di voler cambiare qualcuno, sia esso il partner, gli altri e persino il mondo stanno ingannando e illudendo se stessi e gli altri, perché nessuno potrà convincere qualcuno a liberarsi della propria violenza, del male in generale se non lo decide la persona stessa. Una condotta del genere, quella di porsi come possibile salvatore, invero è un sotterfugio per mettersi sopra gli altri e sentirsi esenti dal male. Salvatori e liberatori col tempo si riveleranno oppressori! Le persone si possono sostenere e creare le condizioni favorevoli affinché decidano di cambiare accogliendole e amandole, perché senz’amore sarà difficile, quasi impossibile.

Predicatori e politici, pacifisti e quant’altro che s’affannano a invocare e propagandare la pace, per essere più efficaci prima dovrebbero guardarsi dentro e prendere coscienza della loro violenza e liberarsene e poi suggerire agli altri di liberarsi della loro se vogliono veramente la pace, perché diversamente s’ingannano e imbrogliano pure il prossimo. Chi predica la pace e combatte il male altrui, abitualmente è perché disconosce il proprio, Ma la cosa ancora più grave è che così facendo paralizza l’evoluzione umana, perché lascia l’uomo immutato, in balia delle proprie insane e violente passioni. Tra l’altro armistizi, tregue e trattati di pace non sono altro che delle pause più o meno lunghe tra un conflitto e l’altro. È la storia umana a tutt’oggi. Non basta né la ragione né tantomeno la buona volontà per conquistare la pace. Lo ripeto, per conquistare la pace è indispensabile stanare, assumere e liberarsi del proprio odio, male e parti oscure, ovvero pacificarsi interiormente se si vuole vivere in pace e armonia con se stessi, prerequisito per poi vivere in pace con gli altri e la natura, pure esso un organismo vivente mai così devastato a causa dell’avidità e follia di noi umani.

“Quando ero giovane e libero e la mia immaginazione non aveva limiti, sognavo di cambiare il mondo. Come divenni più grande e più saggio, scoprii che il mondo non avrebbe potuto essere cambiato, così ridussi la mia visione e decisi di cambiare solo il mio paese, ma anche questo sembrava essere inamovibile. Come crebbi, al crepuscolo della mia vita, in un ultimo disperato tentativo, decisi di cambiare solo la mia famiglia, quelli più vicino a me. Ma anche questi non volevano niente di tutto ciò. E ora, che sono legato al mio letto di morte, capisco che se solo avessi cambiato per primo me stesso, forse, con l'esempio, avrei potuto cambiare la mia famiglia. Dalla loro ispirazione e con il loro incoraggiamento avrei quindi potuto cambiare in meglio il mio paese. E chi lo sa, avrei potuto forse cambiare il mondo”.

(Dalla tomba di un vescovo dell'abbazia di Westminster) 

In merito alla follia, le guerre sono figlie anche della follia umana. Non quella psicotica di un Io frantumato precocemente e devastato da traumi, quella lucida rimossa che scaturisce dalle passioni più potenti e distruttive citate più volte, la pazzia più estesa, sottile e difficile da individuare e curare che benché rimossa ciclicamente si scatena, s’impossessa della vita umana e lo conduce alla rovina. Shakespeare l’ha descritta estesamente nelle sue opere.

Non è facile guardarsi dentro in profondità, dove si cela la luminosità e l’oscurità umana, ossia la divinità e l’animalità, che è ciò che gli esseri umani rigettano e temono di più. E anche perché, non a caso, l’uomo è stato educato ed è istruito a guardare più fuori di sé che a soffermarsi su se stesso, sulla propria interiorità, dove risiede la verità, per comprendere e poter risolvere le questioni esistenziali che contano di più. Comunemente dell’uomo nella sua interezza si ha, nel contempo, una visione castrante per quanto concerne la sua dimensione artistica-spirituale e buonista e persino idealizzante per quanto riguarda la sua parte oscura e violenta come compensazione alla prima, col risultato che è scisso, frantumato e falso senza esserne conscio. In Occidente, a causa delle nostre fondamenta in parte inquinate dall’Idealismo platonico-religioso, dal pensiero schizofrenico e dall’ideale di perfezione morale e falsa coscienza ad esso associato, abbiamo una visione riduttiva e spesso persino distorta dell'uomo e della realtà in generale. Nel comportamento umano c’è sempre qualcosa di volutamente nascosto e di rimosso perlopiù inconscio da comprendere cui l’uomo n’è comunque variamente responsabile e/o corresponsabile. In breve: l’uomo è responsabile del bene e del male che immette nel mondo col suo modo d’essere e d’agire, che ne sia consapevole oppure no.

Da quanto esposto sembrerebbe che non ci sia soluzione ai conflitti umani, siano essi personali che collettivi. Non è così perché per chi lo decide e opera in tal senso, può liberarsene trasformando con coraggio, saggezza e molta pazienza se stesso fino a potersi calare nella vita prenatale e sanarla. Ci vuole impegno e del tempo, ma si può fare. Esperienza personale che ho narrato in un mio libro (Il mal di vivere dell’uomo odierno, Armando editore, Roma 1999) e presentato in una conferenza su una nave nel Mediterraneo nel lontano 1999 (La crociera della Ulissidi) che ripercorreva il viaggio di Ulisse.

Queste mie riflessioni si possono condensare in una frase: Se vuoi la pace vera e definitiva, come suggerito più volte, pacifica la tua mente e il tuo cuore trasformando incessantemente la tua essenza ed esistenza fin dalle sue origini, perché fatti non fummo per vivere come natura ci ha fatti, allo stato fetale, ma per uscire dall’utero, nascere alla vita vera e diventare artisti della nostra vita e della vita dell’universo, un tutt’uno. (Antonio Mercurio)

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